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Quando auditor, consulenti, ODC, Accredia mettono al centro se stessi a scapito delle imprese, l’impatto sulle organizzazioni è nullo

C’erano tempi in cui il livello degli auditor era talmente alto, che un Responsabile di Sistema di Gestione cresceva professionalmente più in 4 giorni di audit che in una vita a fare corsi di aggiornamento.

Erano auditor con una storia professionale di alto livello alle spalle, ex dirigenti di multinazionali nei più svariati settori capaci di trasferire con autorevolezza cultura aziendale ad ogni frase proferita; c’erano pochi organismi di certificazione e, ovviamente, sceglievano i migliori auditor sul mercato. Pretendevano solenni riunioni di apertura e chiusura per comunicare presupposti ed esiti dell’audit, a cui il management non si sognava mai di mancare. Seppur con un approccio eccessivamente formalistico, nella verifica di conformità del requisito prendevano atto non solo dell’evidenza documentale, ma analizzavano anche il processo a monte per verificarne la solidità e consistenza, traendone degli spunti estremamente utili per l’organizzazione.

Parliamo del periodo che va dagli anni ’90, fino ai primi anni del nuovo millennio, anni in cui un auditor esercitava persino il diritto/dovere di imporre un follow-up alle organizzazioni palesemente inadeguate alla certificazione.

Poi le certificazioni sono state di fatto imposte per legge e il mercato è stato drogato. Sono nati ODC come funghi, ex promotori finanziari sono diventati auditor di terza parte, commercialisti con sola esperienza di contabilità sono diventati docenti e consulenti esperti di Sistemi di Gestione nel giro di pochi minuti. È iniziata la corsa, mai del tutto arrestata, al ribasso dei prezzi e della qualità dei servizi di consulenza e auditing, sul mercato sono arrivate le certificazioni al kg, sono state avallate le “worst practices” organizzative e si è alimentata la leggenda della certificazione come “aria fritta” e “fuffa”. Da un certo punto in avanti è bastato trovare uno pseudo-consulente in grado di sistemare (=falsificare) le carte e un auditor pronto a verificare solo le carte “sistemate”. L’audit di follow-up è sparito dai radar per questioni di mercato: a fronte di un ODC / Auditor “ostico” (= professionale e rigoroso) oggi ci sono almeno una decina di ODC / auditor alternativi più economici e compiacenti, spesso collegati, in palese conflitto di interessi, ai consulenti dell’organizzazione da certificare, spesso all’oscuro degli accordi che avvengono sopra la propria testa.

Un vecchio adagio diceva che gli avvocati si dividono in due grandi categorie: quelli bravi e quelli che hanno i clienti. La percezione che lo stesso stia accadendo per gli Organismi di Certificazione è molto forte: anche ODC leader del mercato, dietro il nome e il brand, manifestano uno spiccato orientamento verso “fuffa” e “aria fritta”.

Le nuove norme ISO 9001:2015, ISO 14001:2015 e presto ISO 45001, nascono con l’obiettivo di fornire strumenti organizzativi agili per il miglioramento del business, della gestione ambientale e della sicurezza, eliminando gli orpelli burocratici che ne hanno sempre resa complicata l’efficiente ed efficace applicazione.

Se prima l’auditor autoreferenziale, ma desideroso di darsi un tono, mascherava la propria inadeguatezza dietro la classica non conformità e disquisizioni filosofiche sulla Politica Aziendale, Miglioramento, matrice di correlazione del Manuale della Qualità, ora l’attenzione si sta spostando sul punto 6.1 della 9001:2015, 14001:2015, e presto ISO 45001: “Rischi e Opportunità”. Nel corso di un audit di prima certificazione Qualità e Ambiente, l’auditor del famoso ODC leader del mercato ha segnalato, su un totale di 10 rilievi tra NC e raccomandazioni, ben 4 rilievi sui Rischi e Opportunità: è appena il caso di segnalare che il punto della norma non prevede neanche l’obbligo di informazione documentata. Tutto questo è stato poi accompagnato da lunghe e noiose dissertazioni filosofiche tra consulente e auditor sull’innovativo concetto di rischio / opportunità, in presenza di una Direzione coinvolta con la stessa fissità nello sguardo della mucca al pascolo che osserva il passaggio del treno.

Nella successiva sorveglianza ho assistito a un qualcosa che non vedevo dagli anni 90: la richiesta dei documenti prescrittivi (procedure) firmati per approvazione della Direzione. Il Responsabile aziendale, in possesso di strumenti innovativi di gestione dei documenti con relativo iter di approvazione digitale, si è trovato a dover stampare e apporre firma manuale (falsa) della Direzione (assente quel giorno), solo per soddisfare l’esigenza di un Auditor, che deve rendere conto ad una Commissione che rilascia la certificazione, che a sua volta deve rendere conto ad Accredia nei suoi controlli all’ODC. Si è dato vita a un teatrino ipocrita che non ha portato alcun valore aggiunto all’organizzazione.

Il problema non è il numero di rilievi: nei miei audit interni difficilmente rilascio un numero di rilievi inferiore a 15. Il problema è cosa queste NC devono risolvere, se problemi concreti o di puro formalismo.

È evidente che un tale approccio burocratico, retrogrado e del tutto inconsistente che parla la lingua che piace a consulenti, auditor, ODC e Accredia, ma lontanissimo dalle esigenze di gestione snella delle imprese, continua ad alimentare la fama circa la totale inutilità delle certificazioni. E, di fatto, le certificazioni, così impostate e ottenute, inutili lo sono: anche le nuove revisioni delle norme rischiano di essere l’ennesima occasione persa.

Leggo articoli e vedo interviste trionfalistiche del management di Accredia circa il tasso di crescita delle certificazioni ISO 9001 in Italia, secondo solo a quello delle aziende cinesi. Però le imprese italiane continuano ad avere una bassa produttività. Continuano a non fare innovazione. Continuano a non essere competitive. Continuano ad avere il tasso di crescita più basso d’Europa. E, purtroppo, continuano a fallire. Anche e soprattutto per colpa loro. Di sicuro questo sistema autoreferenziale fatto di forma fine a se stessa e “aria fritta”, pur non essendone la causa, non è una delle possibili soluzioni; non per limiti dei requisiti degli standard certificabili, ma per oggettive carenze del sistema che le supporta e promuove. Tutti gli operatori di tale sistema hanno smesso di mettere al centro le aziende e i loro problemi, tranne al momento in cui c’è da emettere fattura. Se i numeri ci dicono che le organizzazioni non crescono a seguito dell’adozione degli schemi di certificazione, cresce il numero degli ODC (ad oggi sono 123 organismi accreditati per il rilascio di certificazioni ISO 9001), e crescono i loro fatturati. E mi pare che solo in pochi possano festeggiare per un risultato del genere.