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Ho letto con particolare curiosità il rapporto dell’Osservatorio Accredia sulla “Qualità, Crescita e Innovazione” del febbraio 2014. La lettura di questo documento non ha fatto altro che confermare ciò che da tempo avevo notato nel mio microcosmo: i benefici reali per le imprese certificate ISO 9001 (anche in termini di andamento economico-finanziario) sono minimi rispetto a quelle non certificate. Particolarmente illuminante è il punto di vista degli Organismi di Certificazione in merito alla ISO 9001 e ai suoi punti di debolezza, nonché le proposte per rilanciarne la credibilità.

Anche se la tendenza delle organizzazioni più strutturate è quella di preferire altri modelli gestionali (es. World Class Manufacturing), non ritengo la ISO 9001 (e i sistemi di gestione in genere) un prodotto completamente maturo. Come può essere matura la ISO 9001, quando la metà delle aziende certificate ha un bollino ma non ha mai visto neppure l’ombra di un vero Sistema di Gestione per la Qualità?

Ritengo che uno delle principali cause di questa perdita di credibilità è la sua sempre più spinta autoreferenzialità. Qui di seguito illustro comportamenti ed andamenti che non hanno la pretesa di rappresentare la regola, visto che professionalità virtuose, e altrettanto virtuose aziende, fortunatamente si incontrano ancora. Ma mi preme evidenziare delle tendenze che non fanno bene all’intero sistema. L’autoreferenzialità del sistema si è realizzata in vari modi:

1)      Una autoreferenzialità insita nelle norme di riferimento. Per anni chi si è occupato di qualità ha parlato una lingua incomprensibile agli imprenditori, concentrandosi sulla conformità ai requisiti e sui formalismi piuttosto che sull’efficacia dei sistemi; ora l’orientamento della ISO 9001:2015, fortunatamente, sembra ben altro. Alcuni esempi:

  1.       Le reiterate non conformità sulla Politica e sulla forma del Manuale della Qualità (alcune spesso insopportabili, viste le gravi lacune, spesso non rilevate, nella gestione dei processi). Sfido chiunque a trovare un MdQ conforme ai requisiti e comprensibile alla lettura dello steso titolare dell’impresa. Fortunatamente non lo vedremo più (o almeno non in quella forma)
  2.       Le discussioni infinite su questioni di lana caprina tra consulente e auditor alle quali l’imprenditore si trovava ad assistere con la tipica espressione della mucca al pascolo che osserva passare il treno.
  3.       E così via.

2)      Il sostanziale obbligo della certificazione ISO 9001 per imprese partecipanti a gare d’appalto a partire dal 2000. Questo ha spinto molti imprenditori a confrontarsi forzatamente con un mondo a cui, per cultura, mai si sarebbero avvicinati. E hanno reagito come può reagire chi si vede puntato un coltello alla gola con la minaccia “O la certificazione o la vita”. Il mercato è stato drogato, è iniziata una corsa al pezzo di carta (e solo a quello) e un mercato senza deontologia, orientato al business puro e semplice, glielo ha subito fornito. Il risultato è stato solo una immane perdita di credibilità da parte di tutti: perché se è vero che i sistemi messi in piedi sono ridicoli, ancora di più lo è l’atteggiamento degli ODC che li propone per la certificazione.

3)      Conquistate le fette di mercato, di fronte ad un’offerta sempre crescente e a prezzi decrescenti, e al principio secondo il quale “una certificazione non si nega a nessuno” gli operatori (ODC e consulenti) si sono barricati in difesa delle posizioni conquistate, operando nei modi più disparati:

  1.       La qualità della consulenza si è abbassata, un progetto di certificazione che prima era di 10 giornate è diventato di 3 giornate (quale cultura della qualità vuoi trasferire in così poco tempo?); il lavoro del consulente è diventato solo quello di “preparare le carte”, per la certificazione come una normale attestazione SOA, cambiando le intestazioni a documenti predisposti per altre aziende abusando del “salva con nome” di word, e di “sistemarle” sette giorni prima della verifica di sorveglianza;
  2.       Come conseguenza del punto precedente, vi è stato un disinteresse sia a innovare e rendere aderenti alla realtà aziendale le procedure (molte ancora con data 2001, 2002, o 2003) sia ad aggiornare la metodologia della consulenza, sia a fornire strumenti innovativi all’impresa per una gestione più agile dei sistemi. Nell’era del digitale, trovo quantomeno anacronistico una gestione ancora completamente cartacea.
  3.       L’auditor ha visto quasi dimezzato in 15 anni il suo compenso. Una delle conseguenze è una riduzione dei tempi di svolgimento dell’audit rispetto alle tabelle Accredia: vengono visti solo i documenti conformi, annotati con precisione da buon notaio: ma niente più controlli incrociati o ampliamento del campione. Con alcuni ODC con accreditamento estero, capita addirittura che gli audit non vengano eseguiti affatto (ma registrati e fatturati sì). Ricordo il mio primo audit ISO 9001 da Responsabile Qualità: 4 giorni pieni dalle 09:00 alle 21:00… altri tempi…
  4.       Ricorrendo ad accordi tra ODC e consulenti / società di consulenza, all’insaputa del cliente finale. L’ipotesi più “virtuosa” prevede un accordo di questo tipo: “ti porto i miei clienti e tu in cambio mi fai fare un certo numero di audit”; quella meno virtuosa prevede che l’auditor sia anche il collega del consulente che ha seguito l’azienda: dov’è l’indipendenza? Oggi, è un dato di fatto, se non hai un pacchetto clienti da portare all’ODC, difficilmente puoi intraprendere la professione da auditor, per quanto il tuo curriculum sia ineccepibile.
  5.       Comportamenti discutibili degli auditor in sede di audit. Generalmente anche consulenti, alcuni non si fanno problemi a lasciare il loro biglietto da visita personale o della propria società di consulenza (non dell’ODC) presso l’azienda auditata. È una guerra, tutto sembra lecito, la deontologia e il fair play sono un optional.
  6.        La penalizzazione dell’auditor preparato e rigoroso, così come il consulente rigoroso (e costoso). L’auditor rompiballe è destinato ad una brutta fine: basta una segnalazione del cliente all’ODC, il quale, di fronte al rischio di perdere il cliente, non ci pensa due volte a sostituirlo. Il consulente meticoloso è semplicemente fuori mercato e non lavora. È qui che avviene il tracollo della credibilità di un sistema.

Come uscire dal circolo vizioso di un sistema che fornisce reali benefici alle imprese virtuose e non valorizza le professionalità migliori? Qui di seguito elenco una serie di attività che potrebbero restituire credibilità al Sistema delle Certificazioni ed apportare reali benefici al sistema impresa:

1)      Controlli più frequenti dell’ente di accreditamento sugli audit degli ODC: lo svolgimento di audit da parte di Accredia direttamente alle imprese del settore EA28 a partire dal settembre 2016 è già un buon inizio;

2)      L’esecuzione da parte di Accredia di “verifiche del giorno dopo”, a seguito di audit da parte di ODC;

3)      L’abolizione del mutuo riconoscimento per il settore EA28 per le imprese con accreditamento estero, a meno che non siano sottoposti alle verifiche di Accredia di cui ai precedenti due punti;

4)      L’eliminazione di ogni beneficio legato alla certificazione ISO 9001 per le imprese che partecipano a gare d’appalto. In alternativa, controlli rigorosi da parte di Accredia, con sospensione dei certificati delle organizzazioni non virtuose, e dell’accreditamento degli ODC. Ad esempio, nessuna tolleranza per un comportamento diffusissimo: l’assenza del management in sede di riunione iniziale e finale, che fa sì che l’audit si risolva spesso in una questione tra consulente e auditor;

5)      Una campagna di comunicazione da parte di Accredia e ODC verso le imprese in merito al reale significato delle certificazioni.

6)      Individuazione di un sistema di rating pubblico degli Organismi di Certificazione in funzione delle attività meritorie svolte per la diffusione di una vera cultura dei Sistemi di Gestione: rating da quantificare ad esempio in base al numero di auditor certificati, all’attività formativa erogata a favore degli auditor, alla partecipazione a gruppi di lavoro o tavoli normativi, ecc. per favorire una competizione basata più sulla più competenza che sul prezzo più basso.

Ma il sistema è pronto a questo bagno di sangue?