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A partire dal 2000, anno di emissione della ISO 9001:2000 (la famosa “Vision 2000” con il suo rivoluzionario “approccio per processi”), il legislatore è intervenuto per la prima volta richiedendo la certificazione ISO 9001 per la partecipazione a gare d’appalto oltre un certo importo, e stabilendo agevolazioni per le aziende certificate partecipanti a gare di importo inferiore.

Il mercato delle certificazioni è a questo punto esploso. Sia chiaro, proprio nel 2000 terminavo la mia prima esperienza biennale da Quality Manager e intraprendevo la prima fase della mia attività di consulente ISO 9001 (dal 2000 al 2003): in questi anni ho lavorato e tanto, anche grazie a questa invasione di campo del legislatore nel settore delle certificazioni, e soprattutto sono riuscito a farlo a prezzi equi. Ma non si può negare che da tutto è cambiato.

L’obbligo della certificazione ha drogato il mercato, provocando inevitabili distorsioni.

Innanzitutto ha coinvolto imprese, che per cultura e tradizione, sono sempre state agli antipodi del concetto di “miglioramento continuo” e “ottimizzazione dei processi” e per nulla intenzionate a rimettersi in gioco: il loro unico interesse era, al massimo, la “ottimizzazione” del poco limpido processo di aggiudicazione degli appalti pubblici.

Nella prima fase, erano i consulenti che venivano sommersi di richieste di consulenza. Tra il 2000 e il 2001 credo di aver seguito e portato a certificazione almeno 20 imprese nel settore delle costruzioni, interessate, nel 90% dei casi, al solo certificato da esibire in fase di partecipazione alle gare d’appalto. E per trovare queste imprese, non ho dovuto fare alcuno sforzo di tipo commerciale.

Poi il mercato si è organizzato: l’offerta di servizi di consulenza e di certificazione si è adeguata alla domanda.

Il numero dei consulenti e delle società di consulenza è cresciuto a dismisura, tra questi molti si sono improvvisati: essere venuti in possesso di un manuale e di procedure per la qualità dava (ed in parte dà ancora) il diritto di spacciarsi per consulenti per la qualità. Tra questi, non me ne vogliano, anche molti commercialisti, che nel nostro sistema di micro, piccole e medie imprese sono sempre stati il primo referente degli imprenditori.

Con riferimento ai secondi, la crescita esponenziale degli enti di certificazione, tanto quelli sotto l’egida di Accredia, quanto quelli con accreditamento estero, è stata una caratteristica costante dal 2000 ad oggi; il mutuo riconoscimento per il settore EA28 ha creato un mercato parallelo e spesso privo di controlli. L’obiettivo principale era, ed è, produrre certificati (non solo ISO 9001, ma anche ISO 14001 e OHSAS 18001) per chi ne ha bisogno per le gare d’appalto.

Soprassedendo sul fenomeno degli accordi non sempre limpidi tra Enti di Certificazione e società di consulenza, le ripercussioni sono state molte:

  • Una continua corsa al ribasso dei prezzi, tanto delle consulenze quanto degli Enti di Certificazione, con corrispondente riduzione della qualità del servizio erogato e del rigore degli enti, e riduzione se non annullamento del valore aggiunto offerto dagli uni e dagli altri. Ho visto progetti di implementazione di Sistemi Qualità per piccole imprese passare da 6-7 giornate (anno 2000) a meno di 2 (oggi)!!!
  • La creazione di sistemi documentali, fini a se stessi, e assolutamente incapaci di incidere davvero nell’organizzazione; i sistemi si limitano, nella migliore delle ipotesi, a fare la fotografia dell’organizzazione senza alcuna pretesa di ottimizzazione dei processi; nella peggiore, lo sforzo consulenziale è quello della modifica delle intestazioni di documenti utilizzati da altre aziende. D’altra parte, che senso ha erogare una consulenza più approfondita, calata alla realtà aziendale, e più costosa se interessa solo il certificato?
  • La percezione dei sistemi di gestione come ulteriore vessazione alla stessa stregua di una tassa. Il consulente è chiamato solo per “mettere a posto le carte” pochi giorni prima dell’audit al solo fine di superare la verifica di sorveglianza o rinnovo.
  • La “svendita” di alcuni requisiti, a seguito di interpretazioni estremamente elastiche delle norme
  • La sostanziale immutabilità dei sistemi di gestione, sia a livello documentale che operativo.
  • La percezione del consulente o del Responsabile aziendale meticoloso, o dell’auditor rigoroso, come dei gran rompiscatole che non portano alcun valore aggiunto.
  • La creazione di un sistema autoreferenziale, finalizzato alla sopravvivenza di se stesso in un mercato in cui l’elevato numero di competitors ha ridotto, e quasi annullato, i margini per tutti: auditors, consulenti ed Enti di Certificazione.
  • Persa la capacità dei sistemi di gestione di ottimizzare i processi, misurarne i risultati, migliorarne l’efficacia, valutarne i rischi e migliorarne la capacità di controllo (con particolare riferimento alla ISO 14001 e OHSAS 18001), si è alimentata una serie di luoghi comuni, tra i quali i più ricorrenti sono:
    • “La certificazione è solo inutile burocrazia”
    • “Una certificazione non si nega a nessuno”

Ho quasi 44 anni e ho passato molta della mia vita professionale nei Sistemi di Gestione: in azienda, come consulente e, in misura minore, come auditor. Al di là dei numerosi esempi virtuosi (di aziende, auditor, consulenti, ed organismi di certificazione), ritengo fondamentale individuare una strada per restituire credibilità al sistema delle certificazioni e a tutte le elevate professionalità penalizzate dalle banalizzazioni di cui sopra. È su questo che negli ultimi tempi sto lavorando, perché rimango convinto che questi schemi rappresentino, nonostante tutto, ancora le “best practice” in grado di fornire la bussola al business management delle imprese.