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Ci sono davvero novità rispetto alla precedente versione della norma? E’ cambiata la percezione delle imprese?

Il mio cliente aveva deciso non solo di effettuare la transizione alla ISO 9001:2015, ma anche di avviare un progetto, molto più vasto e impattante, di informatizzazione di tutti i processi, incluse le attività di produzione in cantiere, con l’eliminazione di ogni supporto cartaceo.

Il sistema messo in piedi, non solo non doveva, ma proprio non poteva essere un mero restyling di quello preesistente conforme alla ISO 9001:2008. È cambiata la norma, ma per l’impresa sono cambiate soprattutto le procedure per la gestione dei processi, i supporti su cui darne evidenza, gli strumenti di pianificazione, controllo e analisi dati. Il lavoro messo in piedi è stato lungo e complesso, e ci siamo trovati al momento dell’audit con un leggero ritardo nell’ implementazione (soprattutto in termini formativi), ritardo che ha dato luogo a sacrosante delle raccomandazioni.

Andando direttamente ai risultati dell’audit, alla luce di quanto visto, posso dire che dell’audit mi è piaciuto:

  1. L’approccio in merito alla leadership e direzione: una lunga chiacchierata che ha preceduto la verifica della documentazione a supporto di quanto emerso a seguito della conversazione.
  2. Il fatto che in assenza della Direzione, l’audit sarebbe stato sospeso;
  3. Il principio in base al quale non vanno eliminati tutti i documenti (es. procedure), ma vanno mantenute quelle la cui assenza potrebbe dar luogo al verificarsi di una non conformità (quindi non solo quelle obbligatorie). A titolo di esempio, sfido chiunque a garantire la conformità dei requisiti, la pianificazione e il controllo delle scadenze e delle attività del Risk Based Thinking, senza la presenza di informazioni documentate (formalmente non richieste dalla ISO 9001:2015).

Viceversa, non mi sono piaciuti:

  1. Lo smarrimento dell’auditor di fronte a talune registrazioni informatiche e l’ingenuità delle domande in merito ad alcuni aspetti informatici;
  2. La non conformità sul “Campo di applicazione”, che fa il paio con le tante date negli anni passati da tanti auditor sulla Politica della Qualità, sulle tabelle di correlazione dei vecchi Manuali della Qualità, ecc.
  3. Commenti del tipo: “Non credo che le registrazioni di cantiere possano essere fatte in forma elettronica su un tablet”, demolendo un lavoro di mesi da parte di chi, l’impresa di costruzioni, ha creduto e ha investito risorse in un progetto estremamente innovativo in grado di trasformare un ammasso di carte inutili in un sistema in grado di garantire la pianificazione e il controllo dei processi, e di fornire feedback (anche di carattere economico finanziario) in tempo reale a supporto del processo decisionale.
  4. In una realtà estremamente dura come quella della piccola impresa di costruzioni, l’incentrare la conversazione col titolare su questioni puramente teoriche chiedendo, ad esempio se lui fosse a conoscenza della differenza tra fattori interni ed esterni. L’approccio da esame universitario, oltre ad essere inutile, indispettisce l’interlocutore; l’intervista deve solo servire a capire se quanto illustrato nelle evidenze documentali sia farina del suo sacco o un elaborazione autonoma di soggetti esterni (consulenti).

Niente di nuovo all’orizzonte.

In linea di massima, a mio avviso, rimangono alcuni grossi limiti non tanto nella norma ISO 9001:2015, che offre notevoli spunti, quanto nelle interpretazioni che ne vengono date, nelle competenze trasversali richieste agli auditor, e nell’approccio limitante degli Organismi di Certificazione, preoccupati più della sistemazione di questioni formali e burocratiche che di incentivare la crescita e l’efficacia dei sistemi implementati dalle organizzazioni loro clienti.

Ma il limite più grande rimane il concetto di audit come mera verifica di conformità ai requisiti della norma. L’auditor, non tenuto a fare consulenza, si limita (giustamente) ad dare evidenza di ciò che è conforme e ciò che non lo è. Al pari di un sopralluogo ASL. E l’imprenditore continua ad avere con l’auditor lo stesso approccio che ha con l’ispettore ASL. Sorridente e diffidente, con lo sguardo sicuro di chi dice “Mai avuto problemi qui!”, non vede l’ora che se ne vada via dalle scatole, non potendone ricevere alcun valore aggiunto: dalla ASL può, eventualmente, ricevere multe. Dall’ODC riceve, con certezza, fatture da pagare.

La verità è che oggi la certificazione ISO 9001 rimane a galla (malamente, tra l’altro), solo per la sua obbligatorietà imposta dalle leggi italiane; chi non è obbligato per legge o per la richiesta del grosso cliente, ne fa a meno o la mantiene per una pura questione di immagine, svuotandola di ogni contenuto.

Il consulente ha l’unica preoccupazione di strappare ore di assistenza per “mettere a posto” le carte del cliente prima dell’audit; l’auditor pensa a fare, in fretta, audit di verifica di conformità attraverso una veloce raccolta di evidenze; l’ODC a predisporre documentazione inattaccabile da Accredia; l’impresa, non percependo alcun valore aggiunto, pensa solo ad ottenere il pezzo di carta per partecipare alle gare di appalto. Il tutto alimentato da un sistema dei prezzi da terzo mondo in cui nessuno ha interesse a dare un briciolo di più del minimo sindacale, ammesso che sia in grado di farlo.

Un sistema avvitato su se stesso in cui ogni attore pensa a curare solo il suo malmesso orticello, oltre ad avere un presente di stenti, è destinato a non avere alcun futuro.